Thursday, April 07, 2005

Storia di Livorno

La storia di Livorno

Livorno, bella e gentile regina del Tirreno, dalla spiaggia sempre fiorita e verdeggiante, allie­tata dalle gaie canzoni delle sue brune, leggiadre, popolane, simpatica per la proverbiale schiettezza e per 1'innata cordialità dei suoi baldi ed energici figli, Livorno la cui importanza come città marittima e commerciale risale appena a tre secoli addietro, ha remote origini. Siede all'estremità meridionale d'una bassa pianura, che dalla sinistra riva dell'Arno si stende sino ai poggi di Montenero: l'azzurro flutto la bacia e la rispecchia vagamente, e se dalla parte di terra é abbellita dalle amene collinette che le fan corona, da quella del mare l'occhio si riposa volentieri sulle isolette dell'Arcipelago toscano, prime fra le quali la Capraja e la Gorgona, dinanzi a cui sorge come sentinella avanzata il triste e temuto scoglio della Meloria, doloroso ricordo delle lotte fratricide che straziarono l'Italia nell'evo di mezzo. Gli storici ne fanno risalire la fondazione dal 2300 al 2600 avanti A. C. V'è chi opina che se ne debba il nome a Ligure, figliuolo di Fetente, re dei Molossi, e da Ligure si disse Ligura e Livorna (come risulta da un documento esistente nell'Archivio Arcivescovile Pisano dell'anno 904) e quindi Livorno. Altri sostengono invece che la città deve la sua vita ai Lidi o ai Viburni. Secondo la prima versione, Tirreno re dei Lidi, avrebbe dato il nome al mare che bagna le coste livornesi; e, secondo l'altra, Livorno sarebbe voce derivata dalle Liburnie, leggere e velocissime navi che i Liburni adoperavano e che alla nostra spiaggia approdavano di frequente. Che dai Liburni venisse il nome a Livorno, scrive anche Niccolò Tommaseo. Tutti poi gli annalisti e gli storici che di Livorno fecero argomento di studio, sono concordi nell'affermare l'esistenza d'un tempio consacrato ad Ercole (Eracle) protettore dei naviganti; lo affermano il Santelli, il Targioui, il Vivoli e pare che al semidio fosse poi dato il nomignolo di Labrone, perché la spiaggia sulla quale era edificato il tempio aveva forma di labbro. Di Livorno parla Paolo Giovio nel Ebro XXVI della sua storia, a proposito dell’armata del Doria; e rimane ancora il ricordo dell'antico nome nella voce Calambrone, con la quale s'è chiamato il Fosso Reale e che deriva da Caput Labronis; ma gli edificatori veri e propri di Livorno sono stati senza dubbio gli abitanti di Porto Pisano; talchè è indiscutibilmente vero, che come Fiesole fu la madre di Firenze, così Pisa lo fu di Livorno. I primi ricordi precisi dell'esistenza di Livorno rimontano al 1017. Era allora un castello dato dall'impero in feudo a dei marchesi d'incerto casato. Fu poi considerato come dipendenza di Porto Pisano e soggiacque alla stessa sorte dopo la fatale battaglia della Meloria, avvenuta nel 1283. Nel 1421 trovandosi Genova stretta dalle armi e dalle minacce di Filippo Maria Visconti duca di Milano, e lacerata dalle interne fazioni, vendè Livorno ai fiorentini per centomila ducati, rinunziando a ogni suo diritto sopra il castello, porto e fortilizi, compreso Porto Pisano, il quale, benchè divenuto inutile, ne rendeva loro più sicuro il possesso. Incominciò allora la Repubblica fiorentina a favorir Livorno con privilegi ed esenzioni che rimasero a lungo tempo in vigore. Restaurò le vecchie torri, e fra queste il Faro sussistente fino dal 1303, e ne edificò alcune nuove. Dei ricevuti benefici dimostrarono i livornesi la loro più ampia gratitudine a Firenze, quando nel 1496 i potentati d'Italia, invidiosi e paurosi dei trionfi di Carlo VIII, si strinsero in lega; aderirono il papa, il duca di Milano, quello di Ferrara, Pisa, Genova, Siena e Lucca. Firenze, alle molteplici lusinghe rispose sempre rifiutando e fu allora che i Pisani chiesero ed ottennero aiuto di cavalli, di armi e di fanti da Massimiliano I, imperatore di Germania e re dei Romani, per combattere i fiorentini. Carlo, re di Francia, dal canto suo, molto prometteva ai fiorentini; ma i fatti non rispondevano alle parole. Pur nonostante la repubblica si preparava gagliardamente alla pugna, e sapendo come Livorno fosse l'occhio del capo sito, (Lettera dei X di Balia, 3 luglio 1496), con 10.000 moggia di frumento la foraggiò e la munì di potenti artiglierie, dandole per comandante Andrea de' Pazzi, oltre ai conestabili Baglioni, Vincenzo da Cortona, Ludovico da Perugia e Cecco da Montedoglio, fra gli altri valorosissimo. Nella metà d'ottobre di quell'anno, 1'esercito alleato mosse contro Livorno, mentre dal lato di mare venti navi bloccavano il porto. Massimiliano stesso era a bordo della Grimalda, grossa nave genovese, e lo circondavano i provveditori veneziani, l'oratore del duca di Milano ed altri cospicui personaggi. Terribile fu l'attacco; più terribile la difesa e tanto fu il valore delle milizie, dei livornesi e degli uomini del contado, che l'imperatore, scornato e avvilito, dopo aver corso grandissimo pericolo di vita, dovette toglier l’assedio. La repubblica fiorentina in premio della splendida condotta dei livornesi, fece porre sullo stemma della loro terra nativa la parola Fides; e in progresso di tempo, in memoria e in onore dei contadini dell'Ardenza, di Montenero e d'Antignano che strenuamente coadiuvarono a quella difesa, fu elevato in una piazzetta presso la Darsena, un monumento rappresentante un villano con ai piedi il cane simbolo della fedeltà. D'allora in poi quella piazza si chiamò, come si chiama anche adesso, Piazza del Villano. Del monumento non rimane più che la base ed è merito dei cittadini Carlo Angelini e Adolfo Mangini, se anche questa fu salvata dalla distruzione decretata dalla Giunta comunale nel 1883. Ma la prosperità e lo sviluppo di Livorno si deve ai Medici. Cosimo I dichiarò Livorno porto franco e asilo sicuro di tutti i perseguitati per debiti e per le pene meritate in altre contrade; fece costruir l'Arsenale della Darsena, eriger la nuova torre del fanale e incominciare il molo. Vi attirò molti greci donando loro Sant' Jacopo e la cinse di mura. Suo fratello Ferdinando largì tali beneficenze alla nuova città che può dirsene il fondatore; e il 10 giugno 1593 promulgò un indulto col quale invitava i mercanti di tutte le nazioni e d'ogni religione, Greci, Armeni, Turchi, Ebrei, Arabi ed altri a venirsi a stabilire in Livorno, senza tema di esser molestati e con piena sicurezza per le loro persone e sostanze. Non é a dire come fosse accolto un tale indulto; da ogni parte del mondo accorsero nel nuovo emporio commerciale i trafficanti, e in breve la Toscana si trovò a possedere la più conveniente piazza di scambi fra il Levante e le nazioni occidentali d'Europa. Molte peripezie subì Livorno da quell'epoca, senza che perciò ne venisse danneggiato il suo meraviglioso incremento. Occupata dai francesi nel 1795, rimase unita all'impero napoleonico tino al 1814. La popolazione e le sue case crebbero rapidamente; fu allargata la periferia della città; ai sobborghi in essa compresi si estesero le franchigie; venne condotto a termine l'acquedotto; eretto il magnifico Cisternone, si aprirono nuove bellissime vie e si rese una passeggiata incantevole il lungo tratto di spiaggia che dalla barriera a Mare conduce all'Ardenza, in guisa che Livorno poté annoverarsi fra le più amene stazioni balneari d'Italia. Decaduta in gran parte per l'abolizione del suo porto franco, la patria di F. D. Guerrazzi, di Micali, di Calzabigi, di Carlo Bini, di Cappellini e di altri illustri non è più oggi che l'ombra di ciò che era trent'anni or sono. Né per quanto si tenti da alcuni intraprendenti industriali di riattivarne i commerci, potrà mai tornare alla prosperità e alla ricchezza goduta fino al 1859. Belle pagine di splendido patriottismo onorano i livornesi moderni, non degeneri dai vincitori di Massimiliano I. Gioverà ricordare come, dopo Novara e quando tutto aveva ceduto agli eserciti di Radetzki e di D'Aspre, essi soli, senza capi, senz'armi, senza munizioni, senza speranza d'aiuti, osarono chiuder le porte della loro città alle truppe austriache e nei giorni 10 e 11 maggio 1849, valorosamente pugnarono alle mura, nei sobborghi e sul litorale, non cedendo che al numero e contrastando palmo a palmo, con grandissima strage, il terreno all'odiato nemico. Nel 1859, nel 1860, nel 1866, dettero fortissimo contingente di volontari per le guerre dell'indipendenza e il 3 novembre 1867 a Mentana gli avanzi della compagnia comandata da Carlo Meyer, orribilmente decimata dagli chassepóts di Napoleone III, meritarono che Garibaldi li salutasse chiamandoli: La vecchia guardia livornese.

E. GIRARDI

Da Le Cento Città d’Italia, Venerdì 25 novembre 1887




++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++
Le Chiese di Livorno





Ciò che abbiamo detto a proposito dei palazzi dovremmo ripeterlo riguardo alle chiese, le quali attestano, come la massima parte di quelli, il poco conto in cui tenevano i vecchi livornesi, dediti più che altro ai traffici marittimi e mercantili, le opere artistiche, ed in ispecie l'architettura dei monumenti. Sebbene goda la simpatia dei piccioni, che in ogni tempo si addensano a grosse torme sopra i cornicioni della sua fabbrica, pur tuttavia la nostra cattedrale è di gran lunga inferiore a quella di Venezia, la quale forma anch'essa, all'esterno, il prediletto ritrovo degli innocenti colombi. D'altra parte, allorché Francesco I fece por mano a questa chiesa., la quale fu poi compiuta a tempo di Ferdinando I, la piazza Grande era più piccola della metà, Livorno contava appena ottomila abitanti, non aveva vescovo, nè era stata per ancora proclamata città. Il duomo di Livorno non ebbe da principio, allorquando successe alla chiesa di Sant'Antonio, l'antica pievania del Castello, le due cappelle che vedonsi alla estremità, contenenti pregevoli affreschi dell'artista milanese Ademollo e dei pittori livornesi Cazzarrini e Terreni. Mancava pure, in origine, del pulpito, del campanile e dell'attuale orologio, che, con meccanismo ingegnoso muove simultaneamente le lancette dalle due parti della chiesa, distanti 1' una dall'altra metri 61. La facciata della cattedrale ha un peristilio a colonne di natura mista, d'ordine dorico, armonizzante coi vicini loggiati della piazza. Il disegno primitivo appartiene all'architetto fiorentino Alessandro Pieroni. E’ molto reputato nell'interno del tempio, che ha la forma di croce latina, il dorato e vasto soffitto, eseguito ad intaglio nel 1610, a spese della nazione ebraica. Sono ammirabili del pari, t tre grandi quadri aderenti al soffitto stesso, dovuti alla maestria del Ligozzi, veronese, del Ghimenti, uno dei migliori coloritori della scuola fiorentina, e del Brezze, discepolo dell'empolese Ghimenti. All'altare maggiore ed a quello della Madonna sono di bella decorazione alcuni quadri del rinomato Passignano. A destra dell’ingresso principale sorge il monumento in onore dell’antico governatore di Livorno, marchese Alessandro Del Borro, già sopranominato il general cannone, e tra i più generosi benefattori delle Case Pie di Livorno. L'opera é dello scultore Poggini, ed in essa risaltano, la figura del Tempo, nell'atto di scrivere sul gran libro della Storia, ed il somigliante ritratto del defunto, retto da un guerriero. Alcuni putti fingono di sostenere colle mani un drappo di bardiglio nero, guardando il sottostante sarcofago del generale. Seguono i monumenti, più modesti, degli altri governatori della città, marchese Cineri, Bourbon del Monte e Barbolani-Montauto, di Bernardetto Borromei, primo gonfaloniere di Livorno; del filantropo commerciante Pietro Sardi, della gentildonna Ippolita degli Ippoliti, di vescovi Cubbe e Gavi (quest'ultimo tenuto in concetto di buono dallo stesso F.D. Guerrazzi), del barone C. F. Wachtendouck, comandante supremo delle truppe imperiali in Toscana, a tempo di Francesco II d'Austria, ecc. Degne di particolare attenzione sono, nella cattedrale livornese, le sei colonne di marmo misto, sulle quali gravitano gli archi dell’altare maggiore e delle due cappelle laterali, e le due cantorie colle sottoposte porte, che furono donate dal figlio di Francesco I, principe Antonio de' Medici. La più bella chiesa della città é quella posta a settentrione, ed appunto nel quartiere detto della Venezia Nuova, dove, più che altrove, si mantiene inalterato anche oggi il tipo del vecchio popolano livornese, col suo fare risoluto e al tempo stesso leale ed espansivo. Questa chiesa, dedicata a San Ferdinando, fa parte dunque dei due quartieri - Venezia Nuova e San Marco - che Ferdinando II, col proposito di ingrandire e di risanare la città, fece costruire sul mare col mezzo di palafitte. II primo quartiere, in grazia ad un sistema che dette buona prova anco per la fondazione della regina dell’Adriatico, fu posto in comunicazione col secondo e col rimanente della città, e Livorno si arricchì, al tempo stesso, di sette ponti e di circa ventitrè nuovi isolotti. Ai padri Trinitari aveva fatto promessa il principe-architetto Ferdinando de' Medici di ornare a proprie spese l'interno della chiesa suddetta, ma atteso la morte di lui, la costruzione del tempio andò in lungo, e l'apertura ebbe luogo soltanto l'anno 1817. Il soffitto è a volta tonda, poco elevata dal suo centro, sovrabbonda ai lati di pregevoli stucchi, ed é sostenuto da pilastri di ordine composito. All'altar maggiore, dove osservasi un bel gruppo marmoreo del Baratta, come alle cappelle laterali, recano il massimo effetto estetico i ricchi e vari marmi, le colonne corintie e gli ornati balaustri. Benemerito di questa chiesa fu il nobile fiorentino Teriesi, che spese a favore di essa 40.000 scudi. Comprato dal Governo nel 1692 l'orto dei francescani, i ricchi mercanti armeni fecero costruire su di esso una magnifica chiesa, sul disegno del principe ereditario Ferdinando, figlio di Cosimo III dei Medici. L'intero tempio, situato nella Via Madonna, ha le pareti di marmo ed a scagliola, non manca di stupende statue, come sono quelle del Vacca e del Duprè ed annovera pure vari dipinti di buona scuola. Questa chiesa, dedicata a San Gregorio, porta scolpita la figura di esso in un grande ovale, sopra il portico della prospettiva esterna. Le arcate posteriori della elegante cupola, che i fabbricati vicini nascondono del tutto, contengono belle pitture - ai compartimenti rilevati del soffitto - eseguite dai fratelli milanesi Giovanni e Giacomo Medici. Le cronache del tempo parlano di un omicidio che ebbe luogo in questa chiesa nel 1709, all'epoca della sua costruzione. Mentre il barone Armeno (che trovasi sepolta nel tempio) Agà di Mathus assisteva all'esecuzione dei lavori, fu ucciso a tradimento da un ex impiegato, già riconosciuto infedele e licenziato dai componenti la congregazione. Propenso oltremodo a favorire i greci, che fece venire da Ancona nel 1561, impiegandoli quindi nelle galere dell' Ordine, Cosimo I, volle che essi avessero anche un tempio in città, ed a questo scopo offrì loro, oltre ad un'anticipazione di denaro, un vasto spazio di terreno, nella via della Madonna. La facciata di questa chiesa, che fu visitata da Pio IX il 25 agosto 1857, è adorna di due colonne d'ordine dorico, alle quali sovrastano le statue dell’Innocenza e della Mansuetudine, l’arme dei Medici ed un bassorilievo, rappresentante l’Annunziata. Da un atrio si passa nel tempio, che ha la forma di un rettangolo. L'altare è nascosto da un alto assito a intagli, dorature e pitture, detto l'Iconostasio, o meglio tabernacolo delle sacre immagini. Uno schiavo del bagno di Livorno, colorì nel 1841, alla maniera bizantina, dodici quadretti che rappresentano la vita del Redentore, posti in linea orizzontale sulle due porte che conducono all'altare. Poco diversa nella forma é l'altra chiesa greca, posta nella via del Giardino, e riserbata al rito scismatico. Essa possiede però molti doni dell’imperatore di Russia Niocolò I, messali ed argenterie magnificamente cesellate. Nominiamo due altre chiese cattoliche non del tutto spoglie di pregi, quella di Santa Catterina, posta a contatto colle attuali carceri giudiziarie e costruita presso l'antico cimitero della Venezia Nuova, e l'altra dedicata a San Sebastiano, dove esiste una cappella fatta ad imitazione dell'oratorio di Loreto. La prima é ufficiata dai domenicani e la seconda dai barnabiti, e tanto l'una quanto l'altra posseggono buoni dipinti, eseguiti dai fratelli milanesi Giovanni e Girolamo Grandi, dai fratelli Terreni, da Giorgio Vasari, ecc. A Livorno, dove da un pezzo fu pronunciata la libertà di coscienza, risiedono pure molte chiese non cattoliche, riserbate al culto dei parecchi stranieri che dimorarono in ogni tempo nella stessa città. Il tempio presbiteriano scozzese fu eretto nel 1849 nella via degli Elisi. Il disegno della facciata, di stile gotico, é opera dell'architetto Ramball. L'ingresso della chiesa protestante inglese é preceduto - nella stessa via - da un elegante intercolunnio, d'ordine ionico, composto di quattro colonne. La Congregazione evangelica Olandese-Alemanna, che ebbe origine in Livorno sino dal 1000, costruì anch’essa un tempio in questa città, spendendo circa 170.000 lire. Ha una facciata di stile gotico alemanno, condotta col massimo gusto artistico dall'architetto livornese Dario Giacomelli.

C. Ferrini
Da Le Cento Città di Italia, Venerdì 25 novembre 1887

No comments: